Astro del Ciel

Natale è già nell’aria, nella rossa e zuccherata merce dei negozi alimentari, nelle vetrine calamitate dei negozi di vestiti o di regali di qualsiasi genere, nei panettoni che più costano più sono buoni, nel suono delle sempre più rare ciaramelle ma anche nella nostra mente e nel nostro animo perché, se  i mercanti hanno urgenza di realizzare i guadagni sperati, anche  quanti di noi hanno attraversato un periodo difficile dovuto a guerre, a cinismo e brutalità diffusi, a perdite incolmabili di affetti, a delusioni, a stanchezza, ad indifferenza, a confusione  hanno premura di trascorrere qualche giorno più pacato indipendentemente dal volerlo passare nel proprio silenzio o in compagnia di altri.

Come si sa i giorni che adesso dedichiamo al Natale,  prima del cristianesimo, e forse ancora ora in qualche parte del mondo, erano dedicati  al periodo  in cui  Notte, stanca della sua corsa, comincia a cedere le sue ore a Giorno, anche se in maniera disordinata: prima arretrando di qualche minuto ogni sera a partire dal dì di Santa Lucia, ma continuando fino  al 22 dicembre ad aumentare la sua durata complessiva, e  poi arrendendosi definitivamente  intorno alla epifania ritraendosi  da quel momento sempre di più anche di mattina. Non so se mi sarebbe piaciuta più quel tipo di festa o l’atmosfera natalizia moderna; se pure appesantito dalla a volte insopportabile frenesia della spesa e del consumo, oggi Il Natale ci rende, nelle situazioni e nelle comunità dove non sono di casa tragedie e drammi corali o individuali, piu indulgenti verso noi stessi e perciò anche verso gli altri; almeno per i 7 giorni dal 25 al 1 Gennaio.

Lascio decidere a  Pavel Kuzko che scrisse:

“Il tempo è nato insieme allo spazio e con lui, se mai, finirà. In questo spaziotempo, dalla immensità enermemente più grande di ogni nostra comprensione,  la luce ed  il calore di infinite, smisurate stelle hanno permesso che nascesse qui e là  la vita.  Per la frazione di qualche infinitesimo decennio qualcuno, certo non tutti,  ha  avuto in dono la possibilità di accendere la sua piccola stella filante. Poca cosa questo breve scintillio di fronte allo splendore degli astri che quasi mai  si stancano di accompagnarci.

Perciò  l’unico modo per dargli senso e rilevanza è quello di farla brillare insieme a quelle degli altri. Forse così faremo un po’ di chiarore dentro di noi nei momenti  in cui non  basterà ad orientarci  la luce di fratello Sole  e sorella Luna; e forse potremo dare una piccola speranza di luce a quanti non hanno il fiammifero per dar vita  alla propria”

Poi, naturalmente, se invece di perderti nelle metafore di Pavel Kuzko vuoi conoscere una diversa interpetrazione di Babbo Natale potrai sempre trascorrere le serate natalizie leggendo le lucide ed incalzanti pagine di questo saggio di Claude Levi-Strauss

che puoi regalarti per Natale; (se vuoi dare prima un’occhiata, per pochi giorni ecco il link: https://www.porticando.it/Babbo-Natale-Giustiziato.pdf ) Ti farai un grande dono e forse ti aiuterà a scegliere qualche regalo di Natale per i tuoi cari le tue amiche e i tuoi amici.




Fuggire

Di questi tempi la fuga è l’unico mezzo per continuare a sognare.
(Jim Morrison)

Erano forse diecimila le notti che aveva passato sulla barca, aggredito dal buio umido del mare a malapena contrastato dalla lampada posta a prua del suo peschereccio.

Troppe! All’alba, Stavros, tornato a reti vuote nel porticciolo del suo villaggio Άγιος Νικόλαος nella provincia di βολος, raccolse poche cose in una bisaccia, comprò del pane e caricatosi un remo sulle spalle cominciò a camminare verso l’interno. Percorse sentieri e strade di pianura e di montagna fermandosi solo per rifocillarsi, per riposarsi o per dormire sotto le stelle; nei primi giorni del suo viaggio nessuno badò al remo che portava in spalla; poi, mentre procedeva sempre di più verso l’interno, la gente iniziò a domandargli a che cosa gli servisse quel remo così lontano dal mare…ma Stavros si limitiva a rispondere con un sorriso e senza fermarsi continuava d andare avanti.

Un giorno capito in un piccolo villaggio di montagna vicino al confine con la Macedonia e quando da un uomo ed una giovane donna si senti dire: ”A che cosa serve quezzo pezzo di legno con questa strana forma?” piantò il remo in terrà e rispose: ”E’ il primo pezzo della mia nuova casa!”.

Sempre più spesso penso di trascorrere quel che resta della mia vità in un luogo dove se dicessi che vengo dall’Italia le persone mi chiederebbe: “Ma dove si trova questo paese che tu chiami Italia? Esiste veramente?”




Sogni




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Non sono un grande appassionato di calcio…vedo solo le partite del Napoli o quasi, però questo libro è troppo bello.

Splendori e miserie del gioco del calcio di Eduardo Galeano

Un pic-nic nel mondo del pallone insieme ad un grande scrittore. Tre ore di piacevole lettura sia quando la tua squadra ha perso, sia quando ha vinto. Se poi non segui le partite ed il calcio non ti interessa, dopo aver letto le veloci e accativanti pagine di questo libro potrà succedere che continuerai a non soffermarti su  22 persone che corrono su un campo appresso ad una palla, ma è anche possibile che comincerai a seguirli.

In ogni caso avrai sicuramente fatto una piacevole escursione nel mondo e nella storia di questa piccola elastica sfera presa a pedate da milioni di bravi, modesti o scarsi giocatori ma amata da miliardi di persone.

Ecco qualche passo preso a caso:

Siete mai entrati in uno stadio vuoto? Fate la prova. Fermatevi in mezzo al campo e ascoltate. Non c’è niente di meno vuoto di uno stadio vuoto. Non c’è niente di meno muto delle gradinate senza nessuno.

……

Ci sono attori insuperabili nell’arte di guadagnare tempo: il giocatore si mette la maschera da martire che è appena stato crocefisso e allora si contorce in piena agonia, tenendosi il ginocchio o la testa e resta steso sull’erba. Passano i minuti. Con la velocità di una tartaruga accorre il massaggiatore, il manosanta, il grassone sempre sudato, che odora di linimento, che porta l’asciugamano al collo, la borraccia in una mano e nell’altra mano qualche pozione infallibile. Così passano le ore e gli anni, fino a che l’arbitro ordina di portar via dal campo quel cadavere. E allora, improvvisamente, il giocatore spicca un salto, hop, e si compie il miracolo della resurrezione.

……

Prima esisteva l’allenatore e nessuno gli prestava particolare attenzione. L’allenatore morì, con la bocca chiusa, quando il gioco smise di essere un gioco e il calcio professionistico ebbe bisogno di una tecnocrazia dell’ordine. Allora nacque il direttore tecnico, con la missione di evitare l’improvvisazione, controllare la libertà ed elevare al massimo il rendimento dei giocatori, obbligati a trasformarsi in disciplinati atleti.

 L’allenatore diceva: «Andiamo a giocare». Il tecnico dice: «Andiamo a lavorare».

Adesso si parla con i numeri. Il viaggio dal coraggio alla paura, storia del calcio del secolo ventesimo, è un passaggio dal 2-3-5 al 5-4-1, passando per il 4-3-3 e il 4-4-2. Qualsiasi profano è capace di tradurre questo, con un po’ di aiuto, ma dopo non c’è più nessuno che ne sia capace. A partire da quel momento il direttore tecnico sviluppa formule misteriose come la sacra concezione di Gesù e con esse elabora schemi tattici più indecifrabili della Santissima Trinità.

……

L’arbitro è arbitrario per definizione. È lui l’abominevole tiranno che esercita la sua dittatura senza possibilità di opposizione, l’ampolloso carnefice che esercita il suo potere assoluto con gesti da melodramma. Col fischietto in bocca, l’arbitro soffia i venti della fatalità del destino e convalida o annulla i gol. Cartellino in mano, alza i colori della condanna: il giallo, che castiga il peccatore e lo obbliga al pentimento, e il rosso che lo condanna all’esilio.

I guardialinee, che aiutano ma non comandano, guardano da fuori. Solo l’arbitro entra nel campo di gioco e giustamente si fa il segno della croce al momento di entrare, appena si affaccia davanti alla folla ruggente. Il suo lavoro consiste nel farsi odiare. Unica unanimità del calcio: tutti lo odiano. Lo fischiano sempre, non lo applaudono mai.

Ti consiglio di acquistarlo ma se vuoi dare un’occhiata puoi scaricarlo da qui:

https://www.porticando.eu/libri/Splendori.pdf

Se deciderai di leggerlo lascia qui qualche tuo commento.




Prima di fuggire….

Ho letto da qualche parte questo:

Da quando ho perso l’illusione di cambiare il mondo qualche volta galleggio e qualche volta affondo.

Cambiare il mondo forse non si può ma non vorrei affondare in questa nostra città sempre più melmosa, sempre più grigia, sempre più respingente. Vivere in questa Cava, dove l’unica cultura è quella del cemento e del commercio anonimo, diventa sempre più triste e difficile.

Prima di fuggire senza scrupoli in qualche Puerto Escondido forse bisogna ancora una volta porsi qualche domanda.

Possiamo fare qualcosa per la nostra città? Possiamo ripensarla? O dobbiamo arrenderci definitivamente e consegnarla ad un populismo ex-monacale, o a una destra miope e strapaesana o rassegnarci ad una miserevole continuazione con altri sinistri personaggi dell’esperienza Servalli responsabile della peggiore amministrazione dal dopoguerra in poi?

E’ possibile fare o almeno dire qualcosa affinché le uniche cose che cercano di rompere la catatonica monotonia cavese,  a parte l’ondata di cemento che ci aspetta, non siano la stanca e malinconica disfida dei trombonieri o l’elezione di miss Italia provinciale?

Che risposte dare, non ai commercianti (fra l’altro sempre meno cavesi), ma ai giovani, ai lavoratori, ai genitori, agli anziani, agli abitanti delle frazioni a cui la città offre servizi, opportunità ed interessi  sempre più scadenti, una città in cui, se non vuoi o non puoi spendere soldi in una affollata pizzeria, l’unico modo di impegnare il tempo libero è quello di mettersi alla finestra a vedere i vari fuochi di artificio che ogni notte compaiono come funghi o ascoltare il persistente e ossessivo rumore di tamburi che ammorbano l’aria quasi tutte le sere, o per i ragazzi scendere in piazza dove fra una birra e un’altra puoi assistere o partecipare a più o meno violenti scontri di bande o, come vittime o come carnefici, ad impietosi  atti di bullismo.

Una città che emana il cattivo odore dell’acqua di palude dove degrado, sporcizia e stagnazione la fanno da padroni e dove, fatta rara eccezione, le voci che più si sentono sono i versi di rospi che gracidano tanto più forte e spesso quanto più sono stati e sono responsabili del pantano in cui hanno gettato la nostra Cava.

Possiamo fare qualcosa? E se sì da dove cominciamo?




C’è bisogno di un puerto escondido

“Che danno ci farà un sistema che ci stordisce di bisogni artificiali per farci dimenticare i bisogni reali? Come si possono misurare le mutilazioni dell’anima umana?”

Eduardo Galeano




La supponta

A ognuno dei quattro figli di mio cugino Carlo e sua moglie Cristina nacquero un bambino e una bambina.
Come si chiamano?  Carlo e Cristina, Carlo e Cristina, Carlo e Cristina e per ultimi, tanto per cambiare GianCarlo e MariaCristina.
Per distinguerli uno dall’altro ai nomi, come si usa nei paesi dove i casi di omonimia sono più frequenti, si aggiunge qualche complemento: Carlo di Vito, Carlo il pollese, Cristina ‘a ‘nsista, Cristina ‘a bionda…. Vi sembra una esagerazione? Qualche volte sono stato tentato di pensare anche io così, ma poi quando in qualche riunione familiare si parla dei nostri avi, si tirano fuori fotagrafie e ricordi, allora capisci che per questi miei pronipoti, ormai sparsi per il mondo, il chiamarsi come i nonni e per altri come una zia o uno zio rende più compatto  un sereno senso di appartenza.  Festeggiare il tuo onomastico nello stesso giorno di qualche parente, sentire il tuo nome, anche se non riferito a te, nelle chiacchiere di famiglia attira sempre la tua attenzione, ti aiuta a ricordare aneddoti, favorisce il rafforzamento degli affetti.

E la famiglia delle mogli? E’ giusto che nelle supponte ci sia una gerarchia, prima il ramo del padre poi quello della mamma? Certo che no!

Forse proprio per questo molte giovani coppie, quando non possono o non vogliono avere più di un figlio o due, rinunciano ai nomi di famiglia per non far pigliare collera a nessuno. Ma in questo caso una soluzione c’è, basta mettere i nomi di nonni, zii, bisnonni ed altri parenti in una scatola e tirare a sorte, così nessuno si dispiace!

Ma spesso non è questo il motivo, o perlomeno non il solo, per cui tuo figlio  non si chiamerà Pasquale o Antonietta.Quando qualcuno per strada alla tua prima uscita dopo il parto ti incontra e dice:     

Che bella bimba! Come si chiama?”

e tu rispondi Karen o Edelweiss, ti sembra che già il solo pronunziare quel nome renda tua figlia più bella, le dia una identità ed una personalità più luminosa di quella della massa delle Marie, delle Annamarie e delle Terese che passeggiano negli altri carrozzini che incroci. La fredda bellezza(?) di un nome al posto di una calda e bianca coperta.

Naturalmente nei momenti poi in cui il tuo pargoletto non è più solo il tesoro di mamma e papà, squilla il telefono dei nonni e delle zie perché Brad o Naomi hanno qualche decimo di febbre, devono dormire, devono essere cambiati, devono fare la cacca; c’è bisogno di aiuto e Brad Pitt o Naomi Campbell non possono intervenire.

Ma soprattutto sappi che se hai chiamato tuo figlio Amir o tua figlia Jenny, quando proverai la gioia di diventare nonno o nonna, mentre terrai tuo nipote fra le braccia, certamente ti chiederai, anche negandolo agli altri, per quale motivo non hai dato ai tuoi figli i nomi dei tuoi genitori.




Mariuoli

Ho conosciuto purtroppo molte persone che dicevano di essere di sinistra ma che di fatto erano solo sinistri personaggi. Hanno rubato l’anima alle nostre parole rendendole sterili. Come fare per rivitalizzarle?




Il vecchio Karl!!!

“Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un prete prediche, un professore manuali. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme di questa società, ci si ravvede di tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale e con ciò produce anche il professore che tiene le lezioni sul diritto criminale e inoltre l’inevitabile manuale in cui questo stesso professore getta i suoi articoli in quanto “merce ” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale…che la composizione del manuale procura allo stesso autore.
Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc. e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato nella produzione un’impressione, sia morale, sia tragica, a seconda dei casi e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali e estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e persino tragedie…
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva così questa vita dalla stagnazione, e suscita quella mobilità e quella tensione inquieta senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe.
Egli sprona così le forze produttive”




Nuovo Erode

Erode,nonostante la strage degli innocenti, non riuscì ad uccidere Gesù Bambino. Netanyahu ci sarebbe riuscito non solo perché con lui al governo non sarebbe stata possibile la fuga in Egitto, ma anche perché Erode limitò la sua crudeltà a pochi giorni e solo ai neonati. Netanyahu invece ha detto che la strage durerà a lungo e senza limiti d’età. Che abbiano un giorno, un mese, un anno o due o tre o dieci, i bambini palestinesi sono terroristi e più se ne eliminano meglio è.